11 settembre 2023

INDORE, India – Una concomitanza di crisi globali – come la pandemia sanitaria mondiale, le recessioni economiche e i disastri ambientali – ha rinnovato nella coscienza pubblica la volontà di cercare di giungere alla costruzione di strutture sociali, economiche e politiche fondate sulla cultura dell’assistenza.

In risposta a questo crescente interesse, la Cattedra bahá’í per gli Studi sullo Sviluppo presso l’Università Devi Ahilya di Indore, ha avviato una serie di dibattiti dal titolo “Costruire un mondo più attento: implicazioni per la famiglia, la comunità e il mercato”.

I due incontri che già hanno avuto luogo erano incentrati sugli ambiti della famiglia e della comunità. Le sessioni hanno visto riuniti alcuni accademici e rappresentanti della società civile in un approfondimento sulle implicazioni della promozione dell’assistenza in questi ambiti. I prossimi dibattiti saranno estesi alle sue implicazioni sul mercato.

Sfidare i preconcetti sulla natura umana

In un documento preparato per i dibattiti dalla cattedra bahá’í, viene espresso un timore profondamente radicato: intere generazioni hanno dovuto affrontare quei sistemi della società – siano essi sociali, economici o politici – che sminuiscono o trascurano il ruolo essenziale, il sostegno vitale dell’assistenza.

Il documento pone l’accento sul fatto che affrontare questa sfida richiede una rivalutazione dei concetti predominanti sulla natura umana. I modelli che descrivono sostanzialmente egoisti gli esseri umani, come l’Homo economicus o l’Homo politicus, hanno profondamente influenzato le nostre strutture sociali. Queste concezioni sostengono i comportamenti egocentrici e competitivi, offuscando i ruoli vitali rappresentati dall’altruismo, dalla cooperazione e dalle azioni orientate verso la comunità.

Il valore dell’assistenza

Arash Fazli, professore aggiunto e responsabile della cattedra bahá’í, parlando della svalorizzazione dell’assistenza nella società, ha affermato: “Sebbene, nel nostro ambiente, noi dipendiamo costantemente dalla compagnia, dal supporto e dal nutrimento che riceviamo dal prossimo, spesso non riconosciamo il vero valore dell’assistenza nel sostegno alla vita e nella promozione delle capacità umane”.

“L’opera di assistenza, spesso associata alla famiglia,” ha rilevato “è stata tradizionalmente considerata parte dell’ambito privato femminile, in contrasto con l’ambito pubblico maschile dove il lavoro viene riconosciuto e valorizzato in maniera più ampia”.

Questa svalorizzazione, ha dichiarato il dottor Fazli, ha profonde implicazioni per le aspettative che la società ripone sulle donne e influenza i loro percorsi personali e professionali. “Negli ordini patriarcali, dove il successo, l’autonomia e l’indipendenza sono apprezzati negli uomini, spesso ci si aspetta che le donne siano altruiste e privilegino la dedizione alla famiglia”.

Ha aggiunto che queste percezioni e aspettative sociali possono creare sfide e barriere per coloro che cercano opportunità nell’istruzione superiore e nell’entrare a far parte della popolazione attiva.

Sudeshna Sengupta, ricercatrice e consulente indipendente, ha approfondito ulteriormente il concetto, affermando che molte società operano partendo dal presupposto che “chi si prende cura di qualcuno, generalmente una madre, sarà sempre presente a casa”. Ciò si traduce spesso in servizi limitati e strutture di supporto a disposizione di famiglie con bambini di età inferiore ai tre anni.

La signora Sengupta ha sottolineato che alcune politiche di welfare potrebbero inconsapevolmente affidare alle donne il compito di colmare le lacune esistenti nell’offerta di assistenza. Ciò può rappresentare una sfida, soprattutto per le donne economicamente svantaggiate che dovrebbero occuparsi delle necessità famigliari e allo stesso tempo impegnarsi in un lavoro part-time.

Mubashira Zaidi, dell’Institute of Social Studies Trust di Nuova Delhi, ha aggiunto che queste sfide si aggravano ulteriormente quando il bisogno di assistenza si estende dai bambini agli anziani e alle persone con disabilità.

Promuovere l’uguaglianza attraverso l’educazione morale

Prendendo spunto dagli insegnamenti bahá’í sulla parità di genere tra donne e uomini, il dottor Fazli ha sottolineato il ruolo fondamentale della famiglia per la trasformazione sociale. “Il modo più sicuro per sostituire norme di genere oppressive,” ha affermato “è confrontarsi con i concetti e le pratiche inculcati nelle giovani menti fin dall’infanzia all’interno del contesto familiare”. Questo ambiente modella in modo sostanziale la percezione della mascolinità e della femminilità.

Il dottor Fazli ha posto l’accento sull’ardua impresa da affrontare. Oltre a ripartire le responsabilità domestiche, è necessario “far crescere ragazzi e ragazze che aspirino a sviluppare le proprie capacità al servizio dell’umanità e del nostro pianeta”.

Bhavana Issar, fondatore e amministratore delegato della Caregiver Saathi Foundation, ha sottolineato la profonda influenza delle dinamiche famigliari, affermando che l’ambiente educativo della famiglia “plasma in modo significativo i valori che portiamo, non solo all’interno delle nostre famiglie ma anche nelle nostre interazioni con il mondo”.

Il documento preparato dalla Cattedra bahá’í per questi incontri spiega le implicazioni più ampie dell’assistenza, affermando che quando guardiamo l’umanità attraverso la lente dell’assistenza, riconosciamo tutte le persone come facenti parte di un’unica “famiglia umana… nella quale ogni individuo possiede un valore morale innato”, e ciascuno esige di essere trattato con dignità e rispetto.

La comunità come pilastro dell’assistenza

Mentre le famiglie forniscono una base per la promozione dell’assistenza nella società, è all’interno delle comunità che si stabiliscono e si rafforzano modelli più ampi di interazione, cooperazione e resilienza.

Il dottor Fazli ha osservato che le comunità offrono un “ambiente naturale per coltivare relazioni d’assistenza”.

Martha Moghbelpour, membro dell’Ufficio bahá’í dell’India per l’Azione sociale, ha sottolineato il potere trasformativo dell’educazione nel coltivare comunità che si prendono cura delle persone. Usando un’analogia tratta dagli insegnamenti bahá’í, ha descritto gli individui come miniere ricche di gemme di infinito valore, sottintendendo che ogni persona ha un potenziale non sfruttato, che solo l’educazione può attivare. Ha posto l’accento sul fatto che attraverso l’educazione la gente è in grado di sviluppare la capacità di promuovere l’unità, la comprensione e la cooperazione all’interno delle loro comunità.

In un ulteriore approfondimento, la signora Moghbelpour ha raccontato alcune storie su una cultura dell’assistenza promossa da giovani impegnati in attività educative bahá’í in tutta l’India. La pandemia, ha osservato, ha portato alla ribalta l’essenza della resilienza della comunità, con molti casi in cui i giovani “si sono prodigati con altruismo e si sono offerti volontari per aiutarsi a vicenda anche nelle circostanze più spaventose”.

Ha aggiunto che i legami di amicizia che questi giovani hanno coltivato attraverso i programmi educativi bahá’í sottolineano l’importanza del servizio alla società nella costruzione di comunità resilienti e solidali.

La signora Issar ha aggiunto che: “Nel prenderci cura di qualcun altro viviamo effettivamente una vita con uno scopo. Questa è l’essenza stessa dell’essere umano”.

In un suo commento finale, il dottor Fazli ha sottolineato: “Per raggiungere la giustizia sociale ed economica, prima dobbiamo riconoscere le ingiustizie prevalenti”. Ha posto l’accento sulla necessità di un riesame dei valori sociali, prefigurando un futuro in cui l’assistenza sia messa in prima linea e riconosciuta in tutte le sue manifestazioni.

Il prossimo incontro della Cattedra in questa serie di dibattiti sarà incentrato sulle implicazioni sul “mercato” della nuova concezione di un mondo più attento all’assistenza.