BRUSSELS, 9 febbraio 2020

In una recente tavola rotonda del Parlamento europeo, l’ufficio di Bruxelles della Bahá’í International Community (BIC) ha condotto un’inchiesta su come le istituzioni e gli attori della società civile possano sviluppare un linguaggio che rispetti la diversità e nel contempo favorisca un’identità condivisa. Questa discussione nasce in un momento in cui le questioni dell’identità e dell’appartenenza occupano un posto di primo piano nei discorsi contemporanei in tutta Europa.

La tavola rotonda, alla quale hanno partecipato circa 40 responsabili politici e rappresentanti della società civile, è stato ospitato da Julie Ward e Samira Rafaela, due membri dell’Intergruppo antirazzismo e diversità (ARDI) del Parlamento europeo e presieduto dall’ufficio BIC di Bruxelles.

La signora Ward ha detto che accoglieva con favore questa conversazione, perché dava l’opportunità di inquadrare questi temi in una prospettiva diversa e ha osservato che il linguaggio ha il potere di promuovere la coesione oppure di fomentare la divisione.

«Dobbiamo apprezzare la diversità come un fattore unificante», ha detto la signora Rafaela, «ma come possiamo affrontare questo problema attraverso il linguaggio? Dobbiamo creare un linguaggio che sia rispettoso nei confronti delle altri e che non li biasimi. Come si può elaborare un linguaggio che favorisca un forte senso di lealtà verso tutta l’umanità?».

In un documento preparato per la discussione e distribuito ai partecipanti durante l’incontro, l’ufficio della BIC ha fatto notare che oggi gran parte del pensiero sul linguaggio è orientato verso la celebrazione della diversità e la promozione della convivenza pacifica. Il linguaggio rispecchia l’atteggiamento delle persone l’una verso l’altra e ne modella i pensieri. La BIC suggerisce che, pur essendo essenziale avere un linguaggio che rispetti le differenze, la sopravvalutazione di questo aspetto può rafforzare le nozioni di “noi e loro” che invece devono essere superate.

Pertanto la tavola rotonda si è concentrata su come le istituzioni e gli attori sociali possano affrontare il nocciolo della questione: anche se la celebrazione della diversità e la promozione della coesistenza sono un passo avanti, per tracciare un percorso verso società armoniose è necessaria un’identità condivisa.

Pascal Jossi, rappresentante di un’agenzia che aiuta le imprese e le istituzioni a creare culture organizzative inclusive, ha detto che il linguaggio che usiamo per descrivere le differenze tra le persone può portare a un senso di estraniamento. «Non si tratta di trovare la categoria migliore in cui collocare le persone», ha detto, «ma di costruire una nuova realtà in cui tutti si sentano i benvenuti».

Il signor Jossi ha parlato della sua esperienza di uomo di origine camerunese nato in Belgio e cresciuto nel Lussemburgo, che in ciascuno di questi luoghi si è trovato descritto in termini che lo separavano dalla maggioranza. «Questo tipo di tensione permarrà», ha detto, «fino a quando non rimodelleremo le nostre interazioni. Non credo che l’aggiunta o l’eliminazione di qualche parola dal vocabolario possa aiutare il linguaggio a favorire una società inclusiva. Dobbiamo esaminare quali atteggiamenti e quali presupposti influenzano il modo in cui parliamo tra noi e così saremo in grado di incominciare a far qualcosa per costruire fiducia e unità”

«Stiamo imparando a parlare in modi che ci permettano di stabilire relazioni di interdipendenza e di cooperazione», ha detto Mathieu Marie-Eugenie, descrivendo la sua esperienza di facilitatore nella zona di Parigi di workshop di giovani che promuovono la coesistenza e la cooperazione attraverso la poesia e l’espressione artistica. «In un ambiente di fiducia e gentilezza, siamo in grado di dire a noi stessi: “sono una persona che fa parte della famiglia umana”, o con linguaggio poetico, “sono una goccia e faccio parte dell’oceano”».

«A prescindere dalle nostre identità personali», ha detto Rachel Bayani, rappresentante della BIC, nelle sue osservazioni durante il forum, «dobbiamo concepire un’identità globale e condivisa, che possa unire, che si basi sulla convinzione che l’umanità è una sola e che tutti i popoli del mondo appartengono alla stessa famiglia umana. Ciò è essenziale se la spaccatura dell’umanità in gruppi contrapposti deve cedere il passo a più alti livelli di unità e se le ricche espressioni della diversità devono essere costruttivamente immesse nel tessuto della vita sociale».