13 febbraio 2021

L’ex primo ministro canadese Brian Mulroney fa parte di un gruppo di oltre 50 professionisti canadesi di alto livello in ambito giudiziario, che ha scritto una lettera aperta al Capo della Giustizia della Repubblica Islamica dell’Iran, Ebrahim Raisi, esprimendo profonda preoccupazione per le “nuove e intense violazioni” dei diritti umani nei confronti della comunità bahá’í iraniana.

La lettera, tra i cui firmatari figurano ex ministri della Giustizia e giudici della Corte Suprema del Canada, nonché importanti accademici del mondo giuridico e avvocati praticanti, condanna una recente sentenza di un tribunale, che decreta la confisca di alcune proprietà bahá’í a Ivel, un villaggio nel nord dell’Iran.

“Conosciamo la fede bahá’í per la difesa dei valori di pace, giustizia e unità”, si legge nella lettera, “valori che, per decenni, sono stati oggetto di ripetuti attacchi da parte delle autorità iraniane. Le violazioni dei diritti umani dei bahá’í iraniani sono già state denunciate dal governo canadese, dalle Nazioni Unite e da numerose organizzazioni per i diritti umani. Oggi, in qualità di rappresentanti della professione legale in Canada che credono nello stato di diritto, anche noi siamo al fianco dei bahá’í dell’Iran e rivolgiamo un appello a Lei, nella Sua qualità di capo della magistratura iraniana, di prendere posizione  contro questo abuso reiterato inflitto ai bahá’í di Ivel.

Da molti anni i beni di proprietà dei bahá’í di Ivel, in Iran, sono stati presi di mira e ingiustamente confiscati, lasciando decine di famiglie senza casa e in condizioni economiche disagiate. Queste immagini si riferiscono a una casa messa a fuoco nel 2007.

Una tale dimostrazione di sostegno senza precedenti giunge dopo la notizia dell’arbitraria confisca di beni di proprietà bahá’í da parte delle autorità iraniane a Ivel, che ha lasciato decine di famiglie senza casa e in condizioni economiche disagiate.

Numerosi documenti ufficiali rivelano inequivocabilmente il pregiudizio religioso come unico movente alla base delle confische. Alcuni documenti attestano, per esempio, che ai bahá’í veniva garantito il rientro in possesso delle loro proprietà, se si fossero convertiti all’Islam.

Nella lettera al giudice capo Raisi si legge altresì: “Le sentenze del 2020 stabiliscono ora un pericoloso precedente costituzionale di una confisca, sanzionata giuridicamente, che invalida i legittimi interessi di proprietà, basandosi unicamente sull’affiliazione religiosa dei titolari e discostandosi così non solo dalle norme internazionali in materia di diritti umani, ma anche dal testo e dall’intento stesso della costituzione iraniana”.

Essa afferma, inoltre, che la discriminazione religiosa contro la comunità bahá’í, “può fornire validi motivi per perseguire le autorità iraniane dinanzi ai tribunali penali internazionali e ad altre istituzioni internazionali”.

Numerosi documenti ufficiali rivelano inequivocabilmente il pregiudizio religioso come unico movente alla base delle confische.

Nonostante i ripetuti tentativi dei bahá’í di Ivel di presentare appello per la difesa dei propri diritti, ai loro avvocati non è stato consentito l’accesso ai documenti giudiziari per poter preparare una difesa o presentare le proprie argomentazioni.

La situazione a Ivel, si legge nella lettera, è un “nuovo allarmante capitolo” delle persecuzioni, risalenti alla metà del 1800, della comunità bahá’í, un tempo “fiorente e pacifica comunità da più generazioni … di contadini e di titolari di piccole imprese. Dalla rivoluzione islamica del 1979, i bahá’í a Ivel sono stati “costretti a lasciare le proprie case, imprigionati, perseguitati e le loro proprietà date alle fiamme e distrutte”. Nel 2010, le case di 50 famiglie bahá’í di Ivel sono state demolite nell’ambito di una lunga campagna mirante a cacciarli dalla regione. Diane Ala’i, rappresentante della Bahá’í International Community presso le Nazioni Unite a Ginevra, afferma: “Questa lettera, a firma di importanti personalità giuridiche, dimostra che il trattamento crudele riservato ai bahá’í dalle autorità iraniane non è passato inosservato alla comunità internazionale. È servito, al contrario, a spronare la coscienza pubblica di tutto il mondo.”

La storia della confisca dei terreni e dell’evacuazione di massa dei bahá’í iraniani è dettagliata in una sezione speciale del sito web dell’Ufficio Relazioni esterne della comunità bahá’í canadese.