LONDRA, 14 ottobre 2020 – Cent’anni fa due vasai, inglese uno e giapponese l’altro, avviarono un’impresa creativa con l’intento di unire arte e tradizioni dell’Oriente e dell’Occidente.
Bernard Leach, nato nel 1887 a Hong Kong, è cresciuto in Giappone e a Singapore. Fin da giovane ha sempre sostenuto la necessità dell’incontro e della fusione tra Oriente e Occidente. Abbracciando la Fede bahá’í, il suo idealismo e l’acceso interesse per l’umanità si sono in seguito rafforzati e consolidati, trovando espressione attraverso la propria arte.
Dal 1920, anno della sua fondazione, la Leach Pottery, costituita da Leach con l’amico Shoji Hamada a St. Ives in Inghilterra, è divenuta una delle botteghe artigiane più importanti e autorevoli al mondo. Il suo centenario vede ora l’inaugurazione di una serie di mostre speciali, tra cui quella al Crafts Study Centre, presso l’Università di Arti Creative di Farnham e quella presso la Whitechapel Gallery. La ricorrenza viene celebrata anche all’interno della Leach Pottery.
“Leach considerava il vaso una specie di magazzino, non solo di materiale, ma anche di idee, pensieri, particolarità”, afferma il professor Simon Olding, direttore del Crafts Study Centre. “Lui credeva profondamente nel concetto combinato di mano, cuore e testa, coniugandolo con il proprio senso spirituale e umanistico della vita”.
Una sintesi tra Oriente e Occidente
Il giovane Leach studiò disegno e incisione a Londra e rientrò in Giappone nel 1908 per insegnare la tecnica dell’acquaforte. Molte delle sue prime opere, provenienti dalla collezione del compianto Alan Bell, un bahá’í che aveva lavorato per Leach negli anni ’70, sono esposte a Farnham. L’archivio di Bell, recentemente rilevato dal Crafts Study Centre, raccoglie molti pezzi mai esposti prima al pubblico.
“L’inizio della mostra crea un legame fra i suoi primissimi, inediti disegni da studente con le primissime acqueforti giapponesi”, afferma il professor Olding. Per la prima volta che Leach si posiziona su quella linea di confine in Giappone, sia negli autoritratti che nella rappresentazione paesaggistica. Il Giappone è profondamente radicato nella sua mente e nella pratica”.
In Giappone, Leach rimase affascinato dalle tradizioni della ceramica nazionale e si dedicò all’apprendimento del mestiere, con un metodo che combinava le tecniche orientali a quelle antiche inglesi. Poi, nel 1920, lui e Hamada accettarono il finanziamento per l’apertura di una fabbrica di ceramica a St. Ives. Ma, in Cornovaglia, la mancanza del legno, indispensabile per alimentare le fornaci, e la scarsa disponibilità in loco di argilla e materiali naturali per lo smalto, resero l’ambiente poco allettante per i programmi che si erano prefissati. Affrontando dure prove e sfiorando qualche disastro, Leach e Hamada, con la loro perseveranza, si convinsero sempre più che stavano inaugurando una nuova era del vasaio artista-artigiano, ridando ai materiali il concetto di realtà e la bellezza di un design semplice e di colori tenui. Credere fermamente alla sintesi tra Oriente e Occidente fu un punto fermo del loro metodo.
“Leach ha introdotto nel suo lavoro l’iconografia della ceramica dell’Asia orientale”, afferma il professor Olding. “L’interazione, sia formale che informale, tra Regno Unito e Giappone, appare evidente”. Foglie, uccelli e pesci sono fra i semplici motivi decorativi che Leach perfezionò per i suoi vasi.
Fede e pratica
Le convinzioni personali del vasaio furono rinvigorite dalla scoperta della Fede bahá’í, presentatagli dall’amico Mark Tobey, pittore americano, e formalmente accettata da Leach nel 1940. Uno degli insegnamenti di Bahá’u’lláh che lo colpì in modo particolare fu “… che il vero valore di artisti e artigiani dovrebbe essere apprezzato, perché essi promuovono gli affari dell’umanità.”
Leach ha sempre creduto che le persone che utilizzano oggetti artigianali belli e fatti a mano potessero contribuire in modo rilevante al benessere della società. Col tempo, tuttavia, si rese conto che solo attraverso il raggiungimento di maggiore unità si sarebbe offerta all’umanità la soluzione degli enormi problemi incombenti. “Credo che Bahá’u’lláh fosse una Manifestazione e che la Sua opera fosse di fornire il fondamento spirituale sul quale si potesse stabilire la società dell’umanità”, scrisse. La sua sensibilità spirituale ricevette un ulteriore impulso durante un pellegrinaggio in Terra Santa nel 1954. L’esperienza della preghiera nei Santuari bahá’í rafforzò la sensazione della necessità di dover intensificare l’impegno verso una maggiore unità tra Oriente e Occidente.
“Nei nostri tentativi di giungere alla perfezione, l’arte è tutt’uno con la religione e di questo vi è maggiore riscontro in Oriente”, scrisse Leach verso la fine della sua lunga vita. “I nostri dualismi sono cominciati quando abbiamo separato intelletto da intuizione, la testa dal cuore e l’uomo da Dio”.
L’importanza della formazione era anche al centro della pratica alla Leach Pottery. Studenti e apprendisti venivano assunti dalle zone limitrofe ma anche da oltremare, creando un ambiente internazionale unico. Una rigorosa disciplina di laboratorio era considerata la base fondamentale per il successo futuro degli studenti come ceramisti. Gli apprendisti dovevano riprodurre continuamente più di cento modelli standard, dai portauova ai pentoloni per cucinare.
“Leach,” osserva il professor Olding “non si è, in sostanza, allontanato da quelli che considerava principi fondanti. Questi apprendisti hanno poi fondato le proprie fabbriche di ceramica, lavorando con lo stesso linguaggio, vedendo la ceramica da studio su piccola scala come il mezzo per arrivare e una vita creativa ed emotiva, difficile ma appagante”.Un’eredità duratura
La tradizione creata da Leach ha dominato la ceramica occidentale per gran parte del ventesimo secolo, attirando innumerevoli ammiratori da ogni parte del mondo. Alla Whitechapel Gallery, l’artista contemporaneo tedesco Kai Arthoff ha selezionato 45 pezzi di Leach, provenienti dalle più importanti collezioni, per le quali ha progettato vetrine speciali.
“Althoff è attratto dal lavoro di Bernard Leach e dal metodo di creazione degli oggetti”, dichiara la curatrice Emily Butler. “Mostra grande interesse per questa sintesi di bellezza e utilità e per come gli oggetti possano essere vissuti e tornare utili. Intitolando la mostra Kai Althoff a braccetto con Bernard Leach, ci sta dicendo che vorrebbe che la sua filosofia di lavoro fosse come quella di Bernard Leach”.
Hamada morì nel 1978 e Leach l’anno seguente, all’età di 92 anni, ma i visitatori continuano a arrivare a St. Ives da tutto il mondo per visitare i luogo in cui questi due ceramisti hanno creato un modo di lavorare sfociato in una lunga amicizia e comprensione tra due culture. Per celebrare il proprio centenario, la Leach Pottery ha pianificato un programma di attività per tutto l’anno. A causa della pandemia molte di esse sono state forzatamente rimandate o variate.
“La Leach Pottery ha sempre dimostrato la propria resilienza in un contesto in continua evoluzione”, afferma l’attuale direttore Libby Buckley, “ed è sopravvissuta alla prova del tempo, rinnovandosi continuamente e rispondendo alle sfide. E, nello spirito determinato dei nostri fondatori, è così che continueremo a operare, senza sosta”.
“Siamo sicuri che la gente continuerà a festeggiare con noi, imparando, onorando e portando avanti l’eredità di Bernard Leach e Shoji Hamada in modi nuovi e stimolanti per tutto il resto di questo anno critico per noi e anche per il futuro”.