23 ottobre 2024

Un gruppo composto da diciotto Relatori speciali delle Nazioni Unite e da esperti del Gruppo di lavoro dell’ONU ha pubblicato una lettera congiunta di accuse che denuncia la Repubblica islamica dell’Iran per la recente recrudescenza degli attacchi contro le donne bahá’í, che in Iran sono soggette a una persecuzione intersezionale, prima in quanto donne e poi in quanto bahá’í.

«Esprimiamo seria preoccupazione per l’apparente intensificarsi in tutto il Paese della sistematica presa di mira di donne iraniane appartenenti alla minoranza religiosa bahá’í», affermano nella dichiarazione gli esperti delle Nazioni Unite, «con arresti, mandati di comparizione, sparizioni coatte, irruzioni nelle case, sequestro di beni personali, limitazione della libertà di movimento, prolungata e ripetuta privazione della libertà».

Questa settimana, la dichiarazione ha avuto ulteriore conferma dalla condanna di dieci donne bahá’í di Isfahan a un totale di 90 anni di reclusione.

A fine luglio i diciotto esperti hanno inviato la lettera al governo iraniano, descrivendo nel dettaglio le violazioni dei diritti delle donne bahá’í perpetrate nel Paese, e chiedendo una risposta da parte delle autorità. Ai funzionari iraniani sono stati concessi sessanta giorni di tempo per rispondere prima che la comunicazione venisse resa pubblica. Non è arrivata alcuna risposta. Gli esperti hanno recentemente reso pubblica la loro lettera sulle continue persecuzioni dell’Iran ai danni della comunità bahá’í.

I Relatori speciali delle Nazioni Unite e i componenti dei Gruppi di lavoro dell’ONU sono esperti indipendenti, nominati dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite per indagare, monitorare e riportare sulle specifiche violazioni dei diritti umani perpetrate in tutto il mondo. Questi esperti operano in virtù di mandati sui diritti delle donne e delle ragazze, sulla libertà di religione o di credo, sulle assemblee pacifiche, sull’istruzione, sulla libertà di opinione e di espressione e su molti altri temi, oltre che in virtù di mandati specifici per quei Paesi che destano particolari timori, come la Repubblica islamica dell’Iran.

Attualmente, le donne bahá’í rappresentano due terzi dei bahá’í perseguitati in Iran, sia mediante il ricorso a detenzioni arbitrarie, che al diniego di accesso all’istruzione, a irruzioni domiciliari, alla separazione dalle famiglie, a mandati di comparizione, a processi basati su accuse giudiziarie infondate e ad anni di ingiusta detenzione.

Le statistiche evidenziano anche l’impatto spropositato delle persecuzioni nei confronti delle donne bahá’í nel Paese.

«Quando vengono prese di mira le donne bahá’í, il dolore per questa ingiustizia viene patito da intere famiglie», ha dichiarato Simin Fahandej, rappresentante della Bahá’í International Community (BIC) presso le Nazioni Unite a Ginevra. «Abbiamo rivisto la stessa situazione questa settimana con la condanna crudele e assolutamente ingiusta di dieci donne bahá’í innocenti a una reclusione da cinque a dieci anni. I bambini di queste, come di molte altre donne, vengono strappati alle loro madri. Mogli, figlie e sorelle sono separate dai loro cari unicamente a causa del loro credo religioso.

«Dalla rivolta del 2022 in Iran, la Repubblica islamica ha attuato un giro di vite in modo particolare nei confronti delle donne,» ha soggiunto la signora Fahandej. «Le donne bahá’í, già perseguitate per la loro fede con decenni di arresti arbitrari, incarcerazioni, diniego d’accesso all’istruzione e all’impiego nel settore pubblico, in aggiunta a numerose altre limitazioni, vengono colpite ancor di più da politiche discriminatorie che le prendono di mira sia per il loro genere sia per la loro fede. Queste sono le ultime donne, in ordine di tempo, ad essere state condannate unicamente per via del loro credo, il che dimostra chiaramente l’urgente realtà delle preoccupazioni degli esperti dell’ONU».

«Questi diciotto esperti delle Nazioni Unite, ognuno dei quali rappresenta, in ambiti diversi, la coscienza collettiva dell’intera umanità, hanno ora chiesto al governo iraniano di porre fine ai soprusi nei confronti delle donne bahá’í e di tutti i bahá’í. Per le autorità iraniane il segnale è forte: non possono più nascondere le loro spregevoli azioni nei confronti dei bahá’í dietro a una propaganda di odio e a notizie false sulla comunità. Ormai, oggi appare lampante agli occhi della comunità mondiale che i bahá’í in Iran sono perseguitati per un’unica ragione: il loro credo», ha affermato la signora Fahandej, «e la dichiarazione rilasciata da queste diciotto personalità di spicco, ognuna delle quali nominata dall’ONU come esperta di diritti umani, testimonia questa realtà».

Sollecitando un’azione immediata da parte del governo iraniano, gli esperti dell’ONU hanno riaffermato la necessità di scarcerare senza indugi tutte le donne baha’i, di garantire ai prigionieri un’immediata e totale assistenza medica e di creare un sistema affinché i responsabili delle violazioni dei diritti umani contro le donne baha’i siano chiamati a rispondere delle loro azioni.

Gli esperti hanno altresì ribadito «di essere particolarmente preoccupati per la continua criminalizzazione, da parte delle autorità iraniane, della libertà di religione o di credo, della libertà di opinione e di espressione e del diritto di partecipare alla vita culturale da parte dei membri della minoranza religiosa bahá’í».

«La natura sistematica di queste violazioni rappresenta un modello reiterato di discriminazioni e persecuzioni mirate contro questa comunità e i suoi membri sulla base della loro affiliazione e identità religiosa», hanno aggiunto gli esperti delle Nazioni Unite. «Temiamo anche la natura intersezionale delle persecuzioni subite da questo gruppo di persone: come donne e come membri della minoranza religiosa baha’i. Esprimiamo, inoltre, preoccupazione per il rilevante effetto dissuasivo delle accuse mosse contro altri membri della minoranza religiosa baha’i e sull’esercizio dei loro diritti umani e delle loro libertà».

Questo intervento epocale fa seguito a due rapporti della Missione d’inchiesta delle Nazioni Unite sull’Iran, istituita per indagare sulle violazioni dei diritti umani contro i bahá’í all’indomani delle sommosse del 2022, che hanno fornito dettagli esaurienti sulle conseguenze della repressione del governo nei confronti delle donne bahá’í e della comunità bahá’í in senso lato. In questi rapporti i bahá’í vengono definiti la «minoranza religiosa maggiormente perseguitata nella Repubblica islamica dell’Iran» e riferiscono che, dopo le proteste, si è verificato un incremento dei discorsi di odio contro i bahá’í e un aumento delle persecuzioni nei confronti delle donne bahá’í.

Le persecuzioni dei bahá’í da parte della Repubblica islamica dell’Iran, che durano da 45 anni, sono state dettagliatamente riportate anche in un rapporto di Human Rights Watch dell’aprile 2024, intitolato “Lo stivale sul mio collo“, che ha stabilito che il trattamento dei bahá’í da parte del governo iraniano costituisce un crimine persecutorio contro l’umanità.

Oltre a subire le stesse pressioni cui sono sottoposte tutte le altre donne in Iran, le donne baha’i sono anche esposte al diniego di accesso all’istruzione e all’impiego pubblico, e vengono arrestate e imprigionate per essere seguaci della Fede bahá’í.

«Nessun essere umano dovrebbe mai essere soggetto a persecuzione a causa del proprio genere, credo, razza o etnia», ha dichiarato la signora Fahandej. 

«L’emancipazione delle donne rende una società più pacifica, stabile e prospera, ed è la cosa giusta da fare. Purtroppo, però, in Iran non solo le donne in generale subiscono pressioni da ogni parte, le donne appartenenti alle minoranze religiose come i bahá’í subiscono una doppia discriminazione, che si aggiunge alle pressioni sociali ed economiche che devono affrontare insieme alle loro famiglie. Il nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, ha iniziato il suo mandato con promesse di “uguaglianza per tutti“. Ora deve dimostrare che le sue parole varranno anche per i bahá’í, che hanno tollerato tutte le più gravi e immaginabili violazioni dei diritti umani e che meritano di vivere con diritti pari a quelli degli altri cittadini del loro Paese».