OXFORD, REGNO UNITO, 6 novembre 2018 – La Fondazione internazionale per l’albero sta attuando un piano ambizioso, piantare entro il 2024, centenario dell’organizzazione, 20 milioni di alberi nelle foreste degli altipiani del Kenya e attorno ad esse.

Questo obiettivo è una delle molte espressioni viventi degli ideali di Richard St. Barbe Baker (1889-1982), il fondatore dell’organizzazione. Il signor Baker, più noto come St Barbe, un ambientalista pionieristico e uno dei primi baha’i britannici, aveva una visione di ampio respiro e ha avviato pratiche che oggi sono comuni e diffuse.

Una rivalutazione di questo influente pioniere ambientale è ora in corso, grazie al lavoro della Fondazione internazionale dell’albero e alla pubblicazione di una nuova biografia. Questa recente attenzione arriva in un momento in cui le conseguenze del cambiamento climatico globale sono sempre più evidenti a tutti.

«Molto tempo prima che si avesse un’idea della scienza dei cambiamenti climatici, egli aveva avvertito l’impatto della perdita delle foresta sul clima», scrive il principe Carlo d’Inghilterra, nella prefazione di una nuova biografia di St Barbe. «Egli ha lanciato l’allarme e prescritto una soluzione: un terzo di ogni nazione dev’essere coperta di alberi. Praticava la permacultura e l’agro-ecologia in Nigeria prima che questi termini esistessero e fu tra le figure fondanti dell’agricoltura biologica in Inghilterra».

Dopo aver abbracciato la Fede baha’i da giovane nel 1924, durante la sua vita avventurosa St Barbe ha trovato negli insegnamenti di Baha’u’llah l’incarnazione delle sue più alte aspirazioni per il mondo. La sua profonda fede si esprimeva in un amore per tutte le forme di vita e nella dedizione all’ambiente naturale.

«Egli parla dell’ispirazione che ha ricevuto dalla Fede e dalle Scritture di Baha’u’llah e ‘Abdu’ l-Baha», spiega Paul Hanley, l’autore di una nuova biografia di St Barbe – Man of the Trees: Richard St. Barbe Baker, the First Global Conservationist (L’uomo degli alberi: Richard St. Barbe Baker, il primo ambientalista globale). «St Barbe aveva una visione globale in un momento in cui essa non era molto comune. Il suo punto di riferimento era il mondo intero».

St Barbe notò questa connessione con la visione di Baha’u’llah dell’unità del genere umano quando si recò in pellegrinaggio al mausoleo di Bahá’u’llah.

«(Q)ui a Bahji (Baha’u’llah) deve avere trascorso i suoi giorni più felici. Era un piantatore di alberi e amava tutto ciò che cresce. Quando i suoi fedeli cecavano di portargli doni dalla Persia gli unici pegni della loro stima che accettava erano i semi o le piante per i suoi giardini», St Barbe scrisse più tardi nel suo diario, citato nel libro del signor Hanley.

St Barbe ha poi ricordato un passo delle scritture di Baha’u’llah: «“Che nessuno si vanti d’amare il suo paese, si vanti piuttosto di amare il suo simile”. Sì, ho pensato, l’umanità, l’umanità intera. Non era per questo che avevo lottato per recuperare i posti devastati della terra? Queste erano le parole di un piantatore di alberi, un amante degli uomini e degli alberi».

St Barbe ebbe anche un lungo rapporto con Shoghi Effendi, che lo incoraggiò in decine di lettere e gli chiese consiglio quando sceglieva gli alberi per i luoghi santi baha’i di Akka e Haifa. St Barbe afferma che la copia con dedica degli Araldi dell’aurora che Shoghi Effendi gli mandò è diventata il suo «bene più prezioso».

«L’ho letto diverse volte e ogni volta ne ho colto l’emozione che si deve provare quando si scopre una nuova Manifestazione», scrisse St. Barbe.

La Fondazione internazionale dell’albero, che St Barbe originariamente chiamò Gli uomini degli alberi, è solo una delle molte organizzazioni da lui fondate nel corso della sua vita. Si calcola che, grazie ai suoi sforzi, alle organizzazioni da lui fondate e a quelle che ha assistito, siano stati piantati a livello globale circa 26 miliardi di alberi. Piantare alberi era per lui così importante, che a 92 anni intraprese un viaggio internazionale per piantare un albero in memoria di un caro amico personale, un ex primo ministro del Canada. St Barbe morì pochi giorni dopo aver raggiunto lo scopo di quel viaggio.

«Penso che la gente debba conoscere Richard St. Barbe Baker perché la sua eredità vive ancora», dice l’amministratore delegato della Fondazione, Andy Egan.

«Oggi cerchiamo di camminare sulle orme di St Barbe», aggiunge Paul Laird, il gestore dei programmi della Fondazione. «Abbiamo un programma comunitario di silvicoltura, che si allarga e cerca di lavorare specialmente con i gruppi e le organizzazioni basate sulle comunità locali che sono vicine alla reale situazione – le persone fanno le cose per se stesse, capiscono i pericoli del degrado del suolo e della perdita delle foreste e ciò che questo effettivamente comporta per loro».

Dalla prima infanzia in Inghilterra, St Barbe era attratto dal giardinaggio, dalla botanica e dalla selvicoltura. Correva fra gli alberi della sua famiglia, che salutava come se fossero soldatini di piombo. Più tardi nel 1912, giovane uomo in attesa di frequentare l’università, accettò un lavoro come taglialegna nel Saskatchewan, Canada, dove viveva. Non poteva più trattare gli alberi come amici.

«Questa zona era stata una foresta vergine e una sera, guardando la massa di alberi abbattuti, mi sono chiesto che cosa sarebbe successo quando tutti questi alberi fossero spariti», St Barbe scrisse in quegli anni. «L’abbattimento era uno spreco e mi faceva male al cuore».

Quell’esperienza fu fondamentale per St Barbe. Decise di studiare selvicoltura all’Università di Cambridge, iniziando una vita dedicata al rimboschimento globale. In seguito, si trasferì nel Kenya governato dai britannici, dove creò un vivaio. Mentre era lì, vide gli effetti di secoli di cattiva gestione della terra.

«Ha visto che fondamentalmente quelle foreste appartenevano al popolo del Kenya e per conservarle bisognava lavorare con la gente».

—Paul Laird, International Tree Foundation

Lavorando come guardaboschi coloniale, St Barbe doveva utilizzare pratiche di gestione forestale dall’alto verso il basso. Questo andava contro le usanze del popolo Kikuyu indigeno, che seguiva un metodo tradizionale di agricoltura per cui si dava fuoco agli alberi per arricchire il terreno. St Barbe voleva incoraggiare una forma di agricoltura che promuovesse una crescita della foresta che fosse favorevole all’agricoltura ma anche proteggesse il terreno dall’erosione e rispettasse la cultura e la saggezza della popolazione locale. I capi tribù non erano inclini a piantare nuovi alberi, questi erano «affari di Dio».

Per onorare le tradizioni del popolo Kikuyu e far loro capire il loro importante ruolo nel piantare e conservare gli alberi, St Barbe si avvalse di una delle loro antiche pratiche tradizionali, danzare per commemorare i momenti significativi. Da questa integrazione fra i valori culturali e la tutela ambientale nel 1922 nacque la Danza degli alberi.

«Così invece di cercare di spingerli e di costringerli a piantare alberi, disse adattiamoci alla cultura. Così si avvicinò agli anziani, discusse con loro e nacque la Danza degli alberi che portò alla formazione degli Uomini degli alberi», dice il signor Hanley.

Insieme con il co-fondatore degli Uomini degli alberi, il capo Josiah Njonjo, St Barbe comprese meglio gli importanti ruoli ecologici, sociali ed economici che hanno gli alberi nella vita dell’umanità.

«La prescienza di St. Barbe Baker si fondava sulla sua profonda convinzione spirituale nell’unità della vita», scrive Carlo, Principe di Galles. «Aveva ascoltato attentamente le popolazioni indigene con cui lavorava».

L’avventura di St Barbe in quella che ora si chiama silvicoltura sociale fu considerata con un certo scetticismo. Come guardaboschi coloniale, doveva proteggere le foreste che appartenevano ai governi.

«È stato straordinario perché ha superato quel concetto», dice il signor Laird. «Ha visto che fondamentalmente quelle foreste appartenevano al popolo del Kenya e per conservarle bisognava lavorare con la gente».

Questo approccio partecipativo rimane fondamentale per il lavoro della Fondazione internazionale dell’albero.

«La sua natura incline a prendersi cura di tutto ciò che vive è una luce che brillò in tutta la sua vita», dice il signor Egan. «Aiutò molto a dare vita all’idea che piantare alberi non è solo una cosa professionale. È qualcosa che la gente comune nelle comunità può e deve fare. In un certo senso essi sono nel posto migliore per proteggere realmente le foreste . . . pertanto dobbiamo riconoscere e supportare e celebrare il loro ruolo».

Durante le ricerche per la biografia di St Barbe, il signor Hanley ha scoperto che la silvicoltura «era sicuramente molto avanzata nel suo pensiero. E tutta la sua filosofia dell’integrazione e dell’unità della società umana, ma anche del mondo naturale, erano concetti piuttosto radicali in quei tempi».

“Ero affascinato dalla sublimità del linguaggio. Era bellezza personificata”. 

—Richard St. Barbe Baker

La prima volta che St Barbe incontrò gli insegnamenti di Baha’u’llah nel 1924 trovò che essi confermavano le sue idee di natura e umanità. Cristiano e animato da un profondo rispetto per le tradizioni religiose indigene, St Barbe riconobbe la verità negli insegnamenti di Baha’u’llah sull’unità, l’unità della religione, l’unità del genere umano e l’interconnessione di tutta la vita. Le scritture della Fede inoltre impiegano immagini tratte dalla natura per aiutare a trasmettere le verità spirituali.

«Incominciai a leggere alcune traduzioni dal persiano», ha scritto St Barbe, riflettendo sul suo pellegrinaggio al Mausoleo di Bahá’u’llah. «“Nel giardino del tuo cuore non piantare altro che la rosa dell’amore”. Ero affascinato dalla sublimità del linguaggio. Era bellezza personificata».

Nel 1929, mentre era in missione per fondare una succursale degli Uomini degli alberi in Terra Santa, St Barbe andò a Haifa per visitare i luoghi sacri baha’i. Accostando la sua auto davanti alla casa di Shoghi Effendi, St Barbe fu sorpreso di vedere il Custode della Fede baha’i uscire per dargli il benvenuto e porgergli una busta. Conteneva una sottoscrizione per unirsi agli Uomini degli alberi, per cui Shoghi Effendi divenne il primo socio a vita dell’organizzazione.

«Dice che l’incontro con il Custode fu il momento più significativo della sua vita e davvero . . . lo elettrizzò», dice il Signor Hanley.

Con una costante corrispondenza, Shoghi Effendi incoraggiò gli sforzi di St Barbe. Per 12 anni consecutivi, inviò un messaggio agli incontri del World Forestry Charter, un’altra delle iniziative di St Barbe, ai quali partecipavano ambasciatori e dignitari di decine di paesi.

Il lavoro portò St Barbe in molti paesi. Fu nominato assistente conservatore delle foreste per le province del sud della Nigeria dal 1925 al 1929. Progettò anche foreste in Costa d’Oro. Negli Stati Uniti, lanciò una campagna “salvate le sequoie” e lavorò con Franklin D. Roosevelt per fondare il Civilian Conservation Corps americano che ha coinvolto circa 6 milioni di giovani. Dopo la seconda guerra mondiale, St Barbe lanciò il Fronte verde contro il deserto per promuovere il rimboschimento in tutto il mondo. Una spedizione nel 1952 e nel 1953 lo vide percorrere 25.000 miglia nel Sahara, che sfociò in un progetto per recuperare il deserto piantando alberi in modo strategico. Ottantenne, St Barbe andò in Iran per promuovere un programma di piantagione di alberi. Si fermò a Shiraz, il luogo di nascita della Fede baha’i, dove gli fu chiesto di ispezionare un albero di agrumi malato nella casa del Bab, un luogo di pellegrinaggio per i baha’i.

Gli Uomini degli alberi divenne la prima organizzazione non governativa internazionale che lavorava con l’ambiente. Alla fine degli anni 1930 aveva cinquemila iscritti in 108 paesi e il proprio giornale per i membri, intitolato Trees (Alberi).

«Originariamente il giornale è stato creato perché sembrava che St Barbe ricevesse moltissime lettere e inviti e corrispondenza», dice Nicola Lee Doyle, che oggi compila la rivista annuale. «Diceva sempre alla gente dove stava andando e ciò di cui avrebbe parlato. Quindi avevano bisogno di un modo per dare a tutti le informazioni, è così che è incominciato, ma poi si è sviluppato».

Oggi, Trees è il giornale ambientalista più longevo del mondo.

Le generazioni successive degli ambientalisti hanno attribuito a St Barbe il merito di aver alimentato la loro passione per il loro lavoro.

«A volte erano le piccole cose che faceva, come scrivere un articolo o fare un’intervista alla radio, che lo mettevano in contatto con giovani in qualche paese lontano», dice il Signor Hanley. «E molti di loro sono diventati importanti personaggi del mondo ambientalistico».

«La sua eredità è probabilmente legata al fatto che era instancabile», aggiunge il signor Hanley. «È incredibile, migliaia di interviste, migliaia di trasmissioni radio, per cercare di allertare la gente a questa idea e ha veramente avuto un impatto sulla vita di molte persone che hanno protetto e piantato alberi».

Il pensiero pionieristico di St Barbe può essere particolarmente importante in questo momento in cui l’umanità è alle prese con le sfide poste dai cambiamenti climatici. Infatti, una delle sfide più pressanti per l’umanità è come una crescente popolazione globale, in rapido sviluppo e una popolazione globale non ancora unita possano vivere in armonia con il pianeta e le sue risorse.

«Ora è chiaro che se avessimo ascoltato gli avvertimenti di St Barbe Baker e di altri veggenti, avremo potuto evitare molte delle crisi ambientali che dobbiamo affrontare oggi», scrive il Principe Carlo. «Il messaggio di Richard St Barbe Baker è rilevante oggi come novant’anni fa e mi auguro vivamente che verrà ascoltato».