GINEVRA, 23 febbraio 2020
Il 25 febbraio p,v. ventiquattro membri della comunità bahá’í dello Yemen dovranno presentarsi in un’aula di tribunale Uti, a Sana’a, per un’ulteriore sessione di un processo farsa a motivazione religiosa che la Baha’i International Community ritiene essere almeno in parte il risultato di direttive delle autorità iraniane. Uno dei bahá’í yemeniti che dovranno essere processati, anche lui in precedenza arrestato e che ha chiesto il non rivelare il suo nome, ha detto alla Baha’i International Community che le autorità Uti hanno cercato sistematicamente di «sradicare la comunità bahá’í» dal Paese. «Non stanno prendendo di mira solo poche persone», ha aggiunto. Gli Uti vogliono anche che «intimorire» gli altri bahá’í. Lo yemenita ha anche detto che questa persecuzione non colpisce solo gli arrestati o gli incarcerati, ma anche le loro famiglie e decine di altre persone.
Il bahá’í yemenita ha aggiunto che i suoi inquisitori Uti hanno confermato che egli è stato arrestato a causa delle sue credenze religiose e perché i bahá’í promuovono la pace in un periodo di guerra. Nella prigione lui e altri bahá’í incarcerati sono stati molestati da estremisti che li hanno chiamati “infedeli” e minacciati di morte. Il processo ai 24 membri della comunità baha’i di martedì prossimo viene celebrato dopo anni di detenzione arbitraria e violenta di sei baha’i da parte delle autorità Uti. Durante i suoi sette mesi di isolamento nel carcere di massima sicurezza il signor Waleed Ayyash, uno dei cinque bahá’í arrestati nel 2017, è stato torturato fisicamente. È stato anche fisicamente costretto ad apporre la sua impronta digitale a una dichiarazione scritta a suo nome. Il signor Ayyash ha affermato categoricamente che quella dichiarazione era falsa. A quattro dei bahá’í incarcerati – il signor Kayvan Ghaderi, Wael al-Arieghie, Badiullah Sana’i e il signor Akram Ayyash – è stato impedito di vedere i loro avvocati e negato l’accesso alle cure mediche. «I bahá’í trattenuti a Sana’a sono innocenti e vengono sottoposti a torture fisiche e mentali per costringerli ad ammettere crimini che non hanno commesso», afferma Bani Dugal, principale rappresentante della Bahá’í International Community. «Gli Uti devono smettere di vessare economicamente i bahá’í yemeniti confiscando e tentando di sequestrare i beni appartenenti a tutti gli imputati a seguito del processo». Il signor Hamed bin Haydara, il primo bahá’i yemenita arrestato dopo la rivoluzione del 2011, è stato arrestato nel 2013. È stato percosso e sottoposto a elettrocuzione, costretto a firmare documenti mentre era bendato, accusato di essere un «distruttore dell’Islam e della religione» e di essere una spia di Israele. Il caso del signor Haydara è andato avanti per diversi anni e il 2 gennaio 2018 è stato condannato alla pubblica esecuzione capitale per le sue credenze religiose. I ricorsi presentati sono attualmente in fase di esame. Dopo il suo arresto, si sono avute 18 udienze in tribunale d’appello. La prossima udienza del signor Haydara si terrà il 31 marzo. «Se gli Uti vogliono favorire il processo in corso che porterà la pace così disperatamente necessaria al popolo dello Yemen, devono rispettare la libertà di religione e di credo», ha detto Diane Ala’i, rappresentante della Baha’i International Community a Ginevra. La Baha’i International Community invita le autorità Uti a rispettare i diritti dei sei baha’í detenuti, a permettere loro di incontrare i loro avvocati, a rilasciare immediatamente i bahá’í e a smettere di perseguitare i membri di questa fede nello Yemen.